Esterovestizione societaria: cos’è e come evitarla

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Esterovestizione societaria: cos’è e come evitarla

Negli ultimi decenni si è assistito ad una vera e propria migrazione delle imprese italiane all’estero.

Il fenomeno nasce dall’esigenza di creare nuove opportunità di guadagno aggirando l’enorme peso del costo della manodopera italiana e del carico fiscale, nonché della burocrazia, fattori che, messi insieme, costituiscono il più grosso impedimento al decollo di una qualsiasi nuova realtà aziendale.

Ecco perché fare business fuori dall’Italia sta diventando quasi una priorità per i giovani imprenditori e non solo.

Esterovestizione societaria: cos'è e come evitarla

Occorre, tuttavia, fare attenzione ad una serie di canoni normativi e circostanze che, se non adottati e verificati nel modo corretto, potrebbero far incappare in quella particolare forma di evasione fiscale internazionale rappresentata dall’esterovestizione societaria.

Cos’è l’esterovestizione societaria?

Con il termine di esterovestizione societaria si intende la localizzazione fittizia all’estero della residenza fiscale di una società che, in realtà, continua ad operare in Italia.

La residenza fiscale viene considerata in Italia se si verifica una delle tre seguenti condizioni ex articolo 73, comma 3, del Decreto del presidente della Repubblica n. 917/86:

  • la sede legale della società risultante al momento dell’atto costitutivo o dallo statuto;
  • la sede amministrativa è in Italia;
  • l’oggetto principale è in Italia.

La presenza di tali elementi deve essere verificata durante tutto l’arco del periodo d’imposta.

L’articolo citato stabilisce che “ai fini delle imposte sui redditi si considerano residenti le società e gli enti che per la maggior parte del periodo d’imposta hanno la sede legale o la sede dell’amministrazione o l’oggetto principale nel territorio dello Stato”.

Da ciò ne deriva che la sussistenza anche di uno soltanto dei criteri enunciati per far sì che il soggetto passivo d’imposta possa essere considerato quale fiscalmente residente nel territorio dello Stato e, come tale, assoggettato qui a tassazione, anche per i redditi prodotti altrove.

L’esterovestizione societaria, pertanto, si concretizza come un fenomeno di evasione fiscale internazionale che si realizza quando la residenza fiscale effettiva di una società, localizzata in Italia, non corrisponde alla residenza fiscale fittizia situata formalmente all’estero, generalmente in Paesi o giurisdizioni “Black list”, i c.d. tax havens (paradisi fiscali, per l’appunto).

Sono località in cui si garantisce l’anonimato delle operazioni finanziarie effettuate, ed inoltre tutelano fortemente il segreto bancario offrendo condizioni fiscali ottimali ai contribuenti, in termini di tassazione nulla e/o esigua.

Esterovestizione societaria e pianificazione fiscale aggressiva

L’esterovestizione societaria è uno degli aspetti della pianificazione fiscale aggressiva; con tale espressione si intende fare riferimento a tutti quei comportamenti dei contribuenti che seppur leciti, in realtà cercano di “aggirare” la normativa fiscale al fine di ridurre il carico impositivo.

L’individuazione delle società oggetto di esterovestizione è demandata all’Amministrazione finanziaria, la quale si avvale, oltre che del citato articolo 73 del TUIR (Testo Unico delle Imposte sui Redditi), anche di quanto stabilito dall’OCSE (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico) nel suo Modello di convenzione per evitare le doppie imposizioni.

Sono trattati internazionali tramite i quali i Paesi contraenti definiscono il proprio regime impositivo al fine di eliminare le doppie imposizioni sui redditi e/o sul patrimonio dei rispettivi residenti.

Le Convenzioni hanno, inoltre, lo scopo di prevenire l’evasione e l’elusione fiscale; a tal fine prevedono anche alcune disposizioni sulla cooperazione amministrativa.

Nell’art. 4 il modello OCSE disciplina il concetto di residenza secondo cui la “sede effettiva” delle società deve rinvenirsi nel “luogo in cui la società svolge la sua prevalente attività direttiva ed amministrativa per l’esercizio dell’impresa, cioè il centro effettivo dei suoi interessi, dove la società vive ed opera, dove si trattano gli affari e dove i diversi fattori dell’impresa vengono organizzati e coordinati per l’esplicazione ed il raggiungimento dei fini sociali”.

Quand’è, quindi, che si configura la fattispecie della esterovestizione societaria?

Ciò avviene nel momento in cui un ente societario, presenta queste due caratteristiche principali:

  • La società, avente atto costitutivo e statuto societario esteri, risulta formalmente residente all’estero;
  • Tuttavia presenta determinati ed evidenti presupposti di collegamento (indicati dal TUIR) che collegano la società con il territorio italiano, tali da spostare la residenza societaria, di fatto, dall’estero all’Italia.

Come difendersi dall’accusa di esterovestizione societaria?

L’imprenditore che stabilisca la propria residenza fiscale fuori dall’Italia può sfuggire al criterio della tassazione su base mondiale applicabile in Italia, avendo, così, la possibilità di scegliere un Paese che presenti un regime fiscale più favorevole.

Ma non tutti gli imprenditori trasferiscono all’estero la propria residenza, incorrendo, in tal modo, nella contestazione di esterovestizione societaria.

Infatti, può verificarsi il caso in cui, a seguito di un controllo da parte dell’Amministrazione finanziaria, ed in base ai criteri di controllo sopra accennati, una società o ente, pur essendo formalmente domiciliata all’estero, debba considerarsi, in realtà, residente nel territorio dello Stato, ai fini fiscali.

Il contribuente per potersi difendere da tale accusa avrà l’obbligo di dimostrare che la sede dell’amministrazione si trovi nello Stato estero e non invece nel territorio nazionale; la Circolare n. 28/E/2006 dell’Agenzia delle Entrate afferma che il contribuente potrà fornire la prova contraria esponendo:

  • Elementi di fatto;
  • Situazioni od atti,

che siano idonei a dimostrare un concreto radicamento della società nello Stato estero. Occorre, quindi, dimostrare:

  • che la presenza di una holding nel territorio dello Stato e la residenza in Italia dei membri del Consiglio di amministrazione, non implicano, di fatto, la gestione della stessa in Italia,
  • che le decisioni più importanti e quindi strategiche provengano dal Paese estero
  • che la società è amministrata, di fatto, al di fuori del territorio dello Stato.

Esterovestizione societaria e inversione dell’onere della prova

Si parla, in tal caso, di inversione dell’onere della prova, in quanto spetterà al soggetto cui è stata contestata la esterovestizione societaria l’onere di dimostrare l’effettiva esistenza di una struttura imprenditoriale in un altro Stato.

In buona sostanza il contribuente cui viene contestata la esterovestizione societaria dovrà provare che:

  • la società insediata in uno stato estero effettivamente opera e produce all’interno di quello stato, per evidenti ragioni economico-imprenditoriali,
  • la società estera gode di un individualismo proprio, non solo in senso geografico, ma anche strategico ed economico rispetto alla capogruppo ed alle altre consociate,
  • usufruisce della funzione di gestione centralizzata della cassa (cash pooling) rispetto alla sua consociata in Italia, da cui si evince l’affrancamento e l’autonomia economica.

Come evitare di cadere nella esterovestizione societaria?

Al fine di superare la presunzione (relativa) di residenza in Italia della società estera, gli imprenditori che intendano beneficiare della fiscalità di altri paesi adottano un sistema particolare che è quello della holding mista.

In questo caso, oltre a mantenere funzioni di controllo, la società svolge prevalentemente all’estero attività industriale, commerciale o finanziaria.

In questa ipotesi il superamento della contestazione di esterovestizione potrà avvenire invocando validamente l’effettiva localizzazione dell’attività principale all’estero, connessa, nella maggior parte dei casi, all’assunzione in loco delle decisioni gestionali.

Altra ipotesi che viene in soccorso è quella della costituzione di una holding di gestione, vale a dire una società che, oltre alla direzione e al coordinamento delle partecipate, svolge anche attività ausiliarie (finanziamento, amministrazione).

In questo caso, la presunzione di residenza in Italia potrà essere superata eccependo che l’attività svolta dalla holding è un’attività economica autonoma rispetto a quella delle partecipate e si tratta di attività svolta prevalentemente all’estero.

Pertanto, nel momento in cui si volesse decidere di affrontare questo percorso, e cioè trasferire la propria società all’estero, sarà necessario, in primis, avere un’ottima conoscenza delle leggi e decreti che normano tale fattispecie, ma anche effettuare una corretta pianificazione fiscale internazionale che permetta di godere al massimo di tutte le agevolazioni fiscali senza incappare in contestazioni e/o reati gravi.

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